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2°Piano#Cura | #9 - Intervista a Andrea Moscardi


INTERVISTA “2° PIANO #Cura” 2017

Chiacchierata “al volo” con Andrea Moscardi

  • Quali sono i Designer che ti hanno maggiormente influenzato?

Ne vorrei citare molti. L'Italia è stata (e per certi aspetti lo è ancora) la patria del design e abbiamo insegnato al mondo cosa sia lo stile, quindi i nomi da fare potrebbero essere tanti. Ne scelgo comunque due. Il primo è Gio Ponti, architetto e designer che ha saputo traghettarci nella modernità con un'eleganza unica, con un mondo di invenzioni stilistiche, unendo sempre funzionalità ed estetica (come deve essere sempre nel buon design). Il secondo è Bruno Munari, poliedrica figura, credo tra le più rappresentative del XX secolo, artista, designer, pensatore e pedagogo. Da lui ho imparato che si possono leggere “libri impossibili”, che “da cosa nasce cosa”, che “complicare è facile, semplificare è difficilissimo” e che bisogna sempre essere in grado di “vedere l'arcobaleno di profilo”.

  • Un piccolo centro di provincia, merita dei rimproveri? Quali motivi offre per diffidare?

Non credo meriti dei rimproveri e tanto meno motivi per diffidare. Sono cresciuto in un piccolissimo centro di provincia, ora vivo in una grande città e credo ci siano dei pro e dei contro in tutte e due le realtà. I piccoli centri offrono poco, a volte quasi nulla, poche iniziative culturali e in generale poche opportunità di svago per la mente. Il rischio, molto spesso, è quello di chiudersi nella propria realtà dove ci si possa sentire al sicuro. Di certo i piccoli centri possono offrire molto dal lato umano, “ci si conosce tutti” spesso si dice, e in fin dei conti la trovo una frase bella e genuina. Una grande città forse non ha di queste problematiche, e anzi, molto spesso offre fin troppo per chi è curioso e ha voglia di qualcosa di nuovo. Di certo una metropoli pecca sul lato umano e a malapena si conosce il proprio vicino di casa.

  • Esiste, anche solo lontanamente, la possibilità di abitare in paesi di conoscenza, fra segni viventi come amici di ogni giorno e l’eventualità di riuscire a creare “segni” che appartengono a tutti?

Io questa domanda non l'ho capita. Giuro!

  • Burroughs diceva che per evocare l’imprevedibile, bisogna coltivare l’incidente, la casualità… ordinare arbitrariamente delle sagome “scelte a caso”... Cosa ne pensi?

La casualità è un tema che mi affascina. Detto questo credo sia anche un concetto difficile, o forse impossibile da mettere in atto per un essere umano, abituato, quasi per natura, ad avere un pensiero logico e ordinato. Postulando però che possa esistere un nostro “agire” con casualità, non credo sia corretto inserire questo concetto all'interno di un “progetto”. Ora definire cosa sia un progetto significa dilungarsi troppo, ma se lo intendiamo la realizzazione di un “qualcosa” per un certo “fine” (credo il fine dell'arte sia quello di esprimere un concetto, quello del design assecondare un bisogno, quello dell'architettura riuscire a far vivere bene le persone, ecc) allora muoversi con casualità non aiuterebbe poi molto. Sono abituato a pensare che i progetti più facili da realizzare siano quelli con vincoli, ogni vincolo ti indirizza e ti instrada. Se non avessi vincoli/indicazioni/regole/obiettivi, muovermi alla cieca potrebbe portarmi da qualche parte? Di certo la mancanza di un parametro di giudizio mi impedirà di avere un'idea su quello che sto facendo.

Silvia Trappa e Andrea Moscardi | Memory Cubes, tecnica mista, installazione ambientale, part., "2°Piano#3", 2017

  • I Situazionisti dicevano che “Progettare impone delle convenzioni: … le convenzioni non offrono alcuna possibilità per l’immaginazione e per i desideri ed impediscono persino l’espressione vitale dell’uomo”.

Apprezzo il lavoro dei Situazionisti. Credo siano stati per molti aspetti anticipatori circa molte questioni umane e soprattutto sociali tutt'ora in corso e ne stimo lo spirito utopistico che ha mosso il movimento. Estrapolare una frase dalle loro tematiche, spesso complesse e ampie, e commentarla non è facile. Che “progettare impone delle convenzioni” lo condivido e lo trovo quasi scontato, ma che “...le convenzioni impediscono persino l'espressione vitale dell'uomo” lo trovo ardito. Un esempio lampante credo siano le convenzioni linguistiche, senza le quali comprendersi sarebbe impossibile, la semantica stessa è invasa da convenzioni, ma credo non siano questioni che possano minare la possibilità di immaginare. Penso esistano convenzioni strumentali e strutturali che ci aiutano nella necessità umana di fare progetto (convenzioni linguistiche, di misurazione, semantiche, di espressione ecc) tutto il resto è nelle mani della nostra libertà e capacità di creare e immaginare. Nel caso ci si trovi invece davanti a limitanti convenzioni stilistiche (queste sì dannose) sta a noi superarle e anzi non considerarle nel processo creativo.

  • Suggerimenti per migliorare “2° Piano Art Residence” e considerazioni sulla tua esperienza

Essendo poco avvezzo alle esperienze di residenza è difficile per me dare suggerimenti. Personalmente credo sia stata un'interessante esperienza professionale ed umana. La realtà di Palagiano credo meriti occasioni di questo tipo ed è proprio in questa tipologia di realtà che spero il progetto possa attecchire.

Grazie per le tue risposte

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