INTERVISTA “2° PIANO #Cura” 2018
Chiacchierata “al volo” con Federica Gonnelli
La tua ricerca, è volta al superamento delle barriere. Per questo, ricerchi e sperimenti soluzioni e strumenti differenti, al di là delle categorie precostituite che relegano in compartimenti stagni le varie arti…, così come i confini che dividono gli individui, ma di questo parleremo in seguito. Dalla Pittura alla Fotografia, dall’Installazione alle Performance e Audio-Video. E’ affascinante la padronanza con la quale spazi da un mezzo all’altro. Sembra un ossimoro, ma con te non lo è, come sei giunta ad una pluralità espressiva e come convivono nel tuo lavoro queste diverse modalità
Quando ho iniziato l’Accademia mi ero inconsapevolmente auto-relegata in uno spazio chiuso da barriere, “confini” che non mi permettevano di andare oltre gli strumenti propri della pittura. Mi ero auto-convinta di dover fare pittura con gli strumenti convenzionali della pittura. Al termine del primo anno di corso il sonoro schiaffone - simbolico sia chiaro, che non era altro che un voto minore rispetto il 30 a cui aspiravo - ricevuto dal mio professore del corso di Pittura, mi svegliò dal torpore. Il professore fu di poche parole, come di poche parole era stato nel corso dell’anno accademico, consigliandomi di “liberarmi”, di superare quelle barriere che mi ero imposta. Quelle poche parole mi permisero di avviare durante l’estate 2001 lo smantellamento delle costrizioni che mi bloccavano, approdando alla consapevolezza circa la necessità di superare le categorie precostituite delle arti visive. Sul momento quel 24 mi sembrò una sconfitta totale, adesso devo ammettere che per me è stata la più grande vittoria e non smetterò mai di ringraziare il mio professore, che con il suo sguardo burbero aveva visto per primo oltre tutti i miei confini. Dovevo ripartire da zero e il grado zero consisteva nel riprendere ad uno ad uno i materiali e le tecniche che avevano contraddistinto i miei interessi creativi e artistici fin dall’infanzia, senza pormi limitazioni, primo tra tutti il tessuto e in particolare l’organza e la costruzione di “contenitori” all’interno dei quali porre immagini - l’uso della fotografia - e oggetti di varia natura. Successivamente la ricerca di mi ha portato ad ampliare i miei progetti e ad affiancare alla realizzazione delle opere tridimensionali: performance, suoni, video proiezioni, installazioni e videoinstallazioni. È stato un precorso di crescita graduale, la costante alla base della mia padronanza dei vari mezzi è la costanza del fare, del conoscere profondamente mezzi e materiali. La costante che invece sottintende l’utilizzo di ogni materiale o tecnica è l’approccio concettuale - il mio approccio concettuale -. Ogni materiale o tecnica non sono meri supporti, ma concorrono nel significato dell’opera e sono scelti di volta in volta in base al progetto, a cosa voglio raccontare, a come lo voglio raccontare.
Dal 2001 hai iniziato a sviluppare una profonda ricerca sul rapporto contenuto-contenitore, attraverso immagini e oggetti ai quali sovrapponi, in un dialogo di scambio continuo, altre immagini. Ogni velo, mostra, racconta qualcosa di diverso, ma allo stesso tempo impone uno slancio agli osservatori che vogliono scoprire cosa vi si cela dentro, dietro. Il risultato è meravigliosamente straniante, in alcuni casi ambiguo, non di facile comprensione eppure, allo stesso tempo, restituisce una realtà completa al primo sguardo, sia in concretezza espressiva che in concetto. E’ una ricerca capace di aprire ventagli riflessivi attraverso infiniti spunti diversificati che arrivano dal mondo esterno. Cosa hai “raccolto” in questi anni di lavoro e qual è il risultato che più ti ha lasciato qualcosa e cosa?
È difficile fare un bilancio, anche se parziale, di cosa ho raccolto o a quali risultati sono giunta in questi anni, forse non voglio neppure farlo, non è nella mia indole. Si può fare un bilancio, mettere un paletto, al raggiungimento di un obiettivo, io invece sposto continuamente l’asticella dell’obiettivo sempre più avanti, aumentandone il grado di difficoltà. Più che di raccolto o risultati, sento di poter parlare del mio lavoro come di uno scavo e di ipotesi da confutare. In ogni mio progetto tutto è già insito concettualmente, sprofondato, ricoperto da sedimenti, in quel sostrato fatto di memoria e vissuto, collettivo e personale, io devo solo scavare e cercare, e viceversa. Ragione per cui l’azione dello scavare non si può mai definire conclusa. Per quanto ogni ritrovamento possa sembrare casuale, il realtà non avviene mai per caso, perché appunto è già implicito. In uno scavo si va alla ricerca di qualcosa da decifrare nascosto momentaneamente alla vista, ma presente sotto uno o più strati, ogni mia opera infatti è costituita materialmente e concettualmente da stratificazioni. L’osservatore dai bordi dello scavo può decidere se fermarsi ad osservare la superficie, ad una visione d’insieme e ne trarrà già alcune informazioni, oppure avvicinarsi, entrare nello scavo ed iniziare ad osservare i vari reperti, le ipotesi che propongo e a sua volta eventualmente trovare altri significati, talvolta non immediati, non semplici e soprattutto non definitivi. Il movimento mentale e materiale dell’osservatore verso l’opera implica di conseguenza l’inevitabile legame tra l’opera e il contesto in cui o per cui è realizzata o inserita. Questo stesso movimento, slancio, cerco di ritrovarlo anche nei rapporti personali. Nella estrema variabilità e labilità, un punto fermo, infatti, è costituito dalle “connessioni” e dalle “condivisioni” - come sono solita definirle - non virtuali, ma reali. Connessioni, costruite nel corso di questi anni grazie soprattutto anche alle varie residenze che ho effettuato, con altri artisti, curatori, operatori delle arti in generale e dei vari ambiti della ricerca anche quelli non prettamente legati alle arti visive, osservatori e nuovi “compaesani” - coloro appunto, che mi sono stati vicini durante le residenze. Rapporti che vanno oltre l’amicizia, che si basano sulle condivisioni di temi, esperienze e progetti. Connettere e condividere, è un atto spesso molto difficile da attuare in ambiti sostanzialmente ristretti come quello artistico, ma nonostante ciò, resta per me di fondamentale importanza.
La tua proposta, per “2°Piano#3” è stata, "Confini", una serie di piccole opere basate sull’indagine del territorio, la sua storia, socialità e contemporaneità che vanno a comporre la riflessione più concettuale sul luogo e sul confine. L’obiettivo è una presa di coscienza dei limiti e quindi del confine con un ulteriore slancio sotteso. Il risultato sembra invitarci ad oltrepassare quei confini che spesso sembrano invalicabili, mostrandoci infinite possibilità mobili, cangianti, sovrapponibili. E’ questo il messaggio che doni ai cittadini della comunità che ti ha ospitato?
Federica Gonnelli | Confini cancellati, tecnica mista, 130x100cm, "2°Piano#3", 2018
Siamo circondati da confini di ogni tipo: mentali, materiali, artificiali, naturali. Confini che ci coinvolgono personalmente e confini che invece riguardano tutta la società, ed ogni giorno siamo costretti dentro nuovi confini. Conoscere, prendere coscienza dei confini ci permette di viverli diversamente, positivamente se è possibile vivere positivamente un confine, e quindi di oltrepassarli. Mi preme molto trasformare il concetto di confine, che mettendo in contatto separa e dividendo unisce. Il confine che ai suoi margini può essere vissuto come una barriera, può rivelarsi al suo interno come uno spazio nuovo. Uno spazio altro, un altro luogo, una nuova possibilità: uno spazio di contatto, scambio e dialogo. Alex Langer, che conosceva molto bene la tematica dei confini, aveva visto chiaramente anche oltre i confini temporali e le sue riflessioni a proposito sono estremamente attuali ancora oggi, soprattutto oggi, nel nostro mondo nel quale è di decisiva importanza che qualcuno “si dedichi all’esplorazione e al superamento dei confini (…) decisiva per ammorbidire le rigidità, relativizzare le frontiere, favorire l’interazione”. Ogni opera proposta vuole sensibilizzare all’esplorazione e superamento dei confini, di uno o più confini contemporaneamente. “Confini - Variabili” verte in particolare sullo studio dei confini amministrativi e abitativi del comune di Palagiano, dai quali attraverso una progressiva rielaborazione e semplificazione ho realizzato quattro sculture tridimensionali in filo di ferro saldato, che ho utilizzato come matrici per imprimere una traccia di inchiostro di china su carta. Ogni giorno di residenza ho lasciato una traccia uguale, ma differente, determinata, ma casuale. Dalla stessa rielaborazione dei confini amministrativi ho costruito due strutture di legno, assemblate come un meccano, una fissa ed una mobile, con la quale i visitatori potevano interagire modificandone la forma. Considero questo tipo di operazione/opera come il primo grado, il primo passo di sensibilizzazione ai confini, che compio in prima persona, ma che propongo anche agli osservatori. L’obiettivo è rendere tangibile e prendere coscienza di quei confini che non essendo del tutto visibili, tranne in quei casi dove i confini amministrativi sono segnati da elementi naturali, sarebbero difficilmente comprensibili. In “Confini - Identità” ho realizzato una serie di ritratti a doppia esposizione, sovrapponendo i volti degli abitanti ad altrettanti particolari luoghi di Palagiano, fondendo confini identitari e spaziali. Il volto, le mani e più in generale la nostra pelle sono il nostro confine. In particolare il volto che ci identifica, è il nostro confine per eccellenza, il confine attraverso il quale siamo riconosciuti. Durante la preparazione al ritratto ho chiesto a ciascuno dei partecipanti quali fossero secondo la sua esperienza, i confini di Palagiano, naturali o artificiali, zone di conflitto o di resistenza; da questi suggerimenti sono nati gli abbinamenti tra volti e luoghi. Da queste brevi interviste è nato anche un interessante contributo audio che mette in luce la complessità dei vari confini che attraversano il territorio e le varie situazioni che ne derivano. In “Confini - Accoglienza” ho sovrapposto materialmente e concettualmente mediante la trasparenza dell’organza più immagini: la storia, l’attualità e la tradizione di Palagiano e della Puglia in generale. “Questo, è un paesaggio omerico della natura, incastonata lungo il corso del fiume Lato e la pineta dell'Appia, esso dà sfondi a ricchi racconti d'Odissea.” come ebbe a commentare Salvatore Quasimodo nell'aprile del 1967, guardando Palagiano e i suoi paesaggi nella zona della foce del fiume Lenne. Questa è terra di Magna Grecia, ed ispirandomi alla tradizione religiosa della Madonna della Stella - momento di festa, di condivisione, gioia e solidarietà per la città - ho raccontato, fotografando quelli stessi luoghi e attraverso figure e simboli monocromatici, derivati dalla tradizione ellenistica, la Puglia che è stata ed è terra di partenza, di approdo e accoglienza per chi ha cercato fortuna oltre i confini d’appartenenza. La leggenda narra di due marinai, scampati ad un nubifragio, grazie alla guida della Stella del Mare. Salvi ma stremati, si inoltrano nel bosco, fino ad una piccola casa. Qui una donna li accoglie preparando un piatto di fettuccine e offrendo loro un posto per la notte. Il mattino seguente, i due marinai cercano la donna senza trovarla. All'improvviso, scorgono nel cielo il bagliore di quella Stella che li aveva salvati raffigurante il volto della Madonna. Infine in “Confini Cancellati” ho rielaborato la mappa e l’immagine fotografica di due luoghi molto cari agli abitanti di Palagiano, che rappresentano un confine tra la contemporaneità e la storia antica della comunità. Il primo è la villa romana, detta “Parete Pinto”, la struttura, risalente al I secolo a.C. conserva i resti di un recinto in opus reticolatum. Il secondo è la necropoli neolitica di Galliano, scoperta nel 2009 durante l’allargamento della strada che porta al mare e alla SS 106, per Taranto e Reggio Calabria, e della quale sono state rinvenute nove sepolture. In questo caso il confine, è anche il confine tra vita e morte, oltre che tra presente e passato. Un confine quasi del tutto cancellato dal tempo, soprattutto nel caso di Parete Pinto - con grande dispiacere degli abitanti, dall’incombere della natura e degli interventi dell’uomo, che talvolta come accaduto per la necropoli aiutano a scoprire almeno in parte un importante sito archeologico che riscrive l’origine e la storia della città.
Hai affermato che “l’interesse per tematiche legate alla connessione dell’individuo con l’altro e il contesto ambientale, ha trovato la sua massima espressione durante le residenze artistiche”. Più recentemente il tuo interesse si è concentrato su come cambiano queste connessioni, la comunicazione e il sentire il rapporto tra individui e luoghi – nelle piccole o grandi città. Cosa offre e cosa ricerchi da una esperienza in residenza e, secondo te, è un’esperienza indispensabile o consigliabile ad ogni artista e perché?
Il mio intento, uno dei miei progetti per il futuro, è di riuscire ad intraprendere una residenza d’artista o comunque di sviluppare una serie di ricerche che mi permettano di lavorare strettamente sul territorio in ogni regione italiana, per poter successivamente confrontare i risultati ottenuti, grazie al comune metodo di sviluppo. Il confronto non verterà soltanto su che cos’è un confine, come funziona, perché a un certo punto qualcuno decide di stabilire un confine arbitrario, artificiale, non direttamente legato alla presenza di confine naturale e infine su come viene vissuto il confine, ma anche su come cambia il modo di confrontarsi con questa tematica, sia da parte degli abitanti, sia da parte mia, al variare della morfologia e posizione geografica del luogo analizzato e al trascorrere del tempo e all’avvento di nuovi fenomeni sociali. La pratica della residenza d’artista è diventata indispensabile solo ad un certo punto della mia ricerca, quando la mia attenzione si è concentrata su quei temi legati al luogo, fino a quel momento non era stata così importante e determinante, anzi le primissime esperienze di simposi o laboratori di una settimana o dieci giorni, fuori dal mio habitat non erano state neppure molto positive. Tutto ciò non mi ha però impedito di continuare a cercare in seguito la possibilità di vivere questo tipo di esperienza, inconsciamente già sapevo che al momento giusto sarei stata matura - personalmente e artisticamente - per affrontare pienamente una residenza. Non posso dire che l’esperienza della residenza sia in assoluto indispensabile, il grado di “indispensabilità” varia molto in base agli interessi dell’individuo e da come si pone in qualità di artista nei confronti della società che lo circonda. Nonostante ciò consiglio comunque ad ogni artista di partecipare ad un progetto di residenza, indifferentemente dal tipo di ricerca che porta avanti. La residenza è un’esperienza totale, che va vissuta anche per una sola volta nella vita - anche se sono sicura che non resterà una esperienza singola. La residenza artistica è come l'esilio, interpretando le parole di Eduardo Galeano: “Ci obbliga a nascere un'altra volta, apre una dimensione del tempo e dello spazio che può essere utile per ritrovare il vero peso di ogni cosa. Occorre aprire gli occhi: per aiutare la realtà a cambiare bisogna cominciare a vederla...”. - sempre che l’artista sia interessato ad agire, interagire e mettersi continuamente in gioco. Non voglio fare paragoni azzardati tra condizioni di esilio, prigionia per motivi politici, come quelle forzatamente vissute ad esempio anche da Cesare Pavese o Carlo Levi, rispettivamente in Calabria e Basilicata e la scelta della pratica della residenza, ma dal punto di vista di ricerca artistica, personale e intellettuale gli approcci, le modalità di “sopravvivenza” che contraddistinguono queste due esperienze sono molto simili. L’esperienza della residenza può offrire all’artista la possibilità di riflettere su se stesso e sul proprio percorso alla “pavese”, solo apparentemente in modo introspettivo e distaccato dal contesto che lo ospita, oppure l’artista può scegliere di interagire fin da subito con il contesto alla “levi”, cercando nuovi stimoli per se stesso e per la società. L’artista in residenza, prendendo in prestito le parole di Marc Augé, è come l’etnologo che raccoglie: “informazioni di vario genere dalla bocca di individui che se ne assumono la paternità, e tende così a mostrarsi particolarmente sensibile agli effetti di eco, di risonanza, fra il sociale, il culturale e l’individuale, cerca di non ridurre l’individuo solo a un’espressione e il sociale a una conseguenza di una cultura che lo spazio simbolizzato del territorio etnico condensa e materializza”. Se la residenza offre tanto all’artista, allo stesso tempo offre tantissimo alla comunità che la ospita. Negli ultimi anni le opportunità e le proposte di residenze d’artista sono cresciute tantissimo. Indicativamente a partire dalla crisi economica del 2008, pubblico e privato si sono attivati attraverso patrocini e finanziamenti - quando possibili - per applicare politiche finalizzate alla cultura. Conseguenza della stessa crisi, ma anche affermazione, rafforzamento di una tendenza ormai già presente, irreversibile e sempre più evidente nell’arte contemporanea, è l’attenzione al sociale, l’incontro con realtà particolari. Un aspetto determinante e fondamentale nelle residenze è l’arte partecipata (o partecipativa) che coinvolge direttamente il pubblico nel processo creativo, non più solo osservatore dell'opera stessa, per fare della conoscenza reciproca un mezzo di riavvicinamento fra arte e comunità. Un coinvolgimento tale della popolazione, irraggiungibile da istituzioni, musei o gallerie - tranne in rarissimi casi - ma fortissimo nelle residenze, che rispondendo in modo genuino a un desiderio di confronto e si rivelano un’opportunità preziosa di cambiamento. Le residenze d’artista infatti, lasciano sul territorio delle impronte vive e indelebili, che diventeranno parte di un sistema artistico territoriale. Le tracce lasciate dalle residenze, al di là dell’entità, della permanenza delle opere e o di documentazioni di vario tipo prodotte al termine del progetto, sono molto più radicate rispetto quelle tracce che lascerebbero altri tipi di interventi artistici, nati dalla ricerca in studio o dal dialogo con un curatore.
Federica Gonnelli | Confini, tecnica mista, part., "2°Piano#3", 2018
Obiettivo di “2° Piano Art Residence” è l’arte del dialogo, un'arte dell’interazione… come è stata la Tua esperienza?
Per quanto riguarda gli aspetti più personali dell’esperienza di residenza, mi piace ricordare questo mio pensiero a proposito: “Casa è dove dormi sonni tranquilli. Amici sono coloro che ti fanno ridere ed emozionare. Paese è il luogo dove non ti senti mai estraneo”. L’esperienza a Palagiano è stata estremamente positiva, intensa e densa soprattutto. Nelle due settimane di residenza si sono condensate così tante emozioni da aver dilatato il tempo, ma senza esagerare, quel tanto che basta a farti sentire come in una famiglia allargata, tra amici che conosci almeno dalla prima elementare ed infine parte di un luogo, se non dalla nascita, almeno da tre quarti della tua vita. Quel tanto che basta, senza entrare nella routine, mantenendo la capacità di osservare in modo analitico, dall’interno e allo stesso tempo dall’esterno, quel determinato contesto. È proprio in questo essere/non essere del luogo che scatta l’interazione, il dialogo. Anzi, il dialogo è estremamente favorito da questa condizione. Solo nella pratica della residenza un artista può trovare questo dialogo. In questa interazione tra abitante e artista capita che il primo racconti al secondo aspetti, pregi e difetti del luogo stesso. La sommatoria delle interazioni tra il susseguirsi dei vari interlocutori e l’artista consegna a quest’ultimo una memoria, una conoscenza e coscienza tale del luogo che talvolta va oltre quella di un qualsiasi abitante e supera lungamente anche la conoscenza del luogo di provenienza, di “appartenenza” dell’artista stesso. “A c'appart'in?” (si dice, si scrive così?) è la domanda che mi hanno fatto, che ha spezzato il silenzio a Palagiano, così come nelle varie esperienze di residenza, intercalata nei vari dialetti. Per me non potrebbe esserci domanda più gradita e appropriata, perché significa che in qualche modo la mia presenza durante la residenza è stata notata, ma significa anche che non mi sono mossa in un modo completamente avulso dal contesto durante le mie ricerche. “A chi appartieni? – di chi sei?” e non “da dove vieni?” oppure “sei di qui?” o “abiti qui?”, perché l’interlocutore dà già per scontato che hai un legame che ti ha portato in quel luogo. Non importa se quel legame non è un legame di sangue, di parentela, ormai il dialogo è avviato.
Hai suggerimenti per aiutarci a migliorare?
Non ho suggerimenti per aiutarvi a migliorare perché in realtà in voi non c’è niente da migliorare. Ma ho un augurio: vi auguro di crescere senza tradirvi, senza smentirvi, restando voi stessi, di condividere, di connettere e di fare rete sul territorio e oltre con altre esperienze simili. Confesso che in questo momento storico, particolarmente drammatico, sento profondamente l’azione sociale del fare arte soprattutto nel contesto della residenza. La strada che avete (abbiamo scelto) non è facile (lo sappiamo bene) perché il contesto stesso delle piccole e medie comunità non è facile. Al tempo stesso è proprio questo contesto che ci sprona e che ci chiede, anche se a bassa voce, un confronto, un supporto. Mi riferisco alla curiosità con cui si avvicinano allo spazio i ragazzi, che hanno voglia di raccontarsi in un altro modo, con altre parole, che hanno anche voglia di avere un’altra possibilità, un’altra prospettiva. Penso all’entusiasmo dei bambini, alle speranze delle mamme. Penso anche all’ostruzionismo da parte di altre entità sul territorio, che per paura di mettersi sinceramente in gioco, si chiudono. In tutto questo, c’è assolutamente bisogno dell’azione dell’arte e degli artisti.
Grazie per le tue risposte
ZNSproject
STAY TUNED!
2° PIANO è Social – Seguici su
#znsproject #AcheServelArte #2piano #artresidence #viamurat #artcontainer #Puglia #weareinpuglia #contemporaryart #cura #2pianocura #artistinresidenza #federicagonnelli
| znsprojectlab@gmail.com | www.viamuratartcontainer.wix.com/center | 329 13 23 182 | |Via Murat – 74019 Palagiano (TA) |